Come
tutti i simboli nazionali, l’inno dovrebbe rappresentare la sintesi
della storia, della cultura, dell’identità e del genio di un popolo.
Tale
era appunto l’Inno del Re, commissionato nel 1787 da Ferdinando IV di
Borbone a Giovanni Paisiello, Maestro di Cappella, e adottato come inno
del Regno delle Due Sicilie nel 1816.
Come
altri frammenti preziosi dell’identità meridionale, l’Inno di Paisiello
era quasi introvabile e soprattutto ne mancava una versione completa
delle parole.
Letteralmente
scomparso dopo la conquista del Regno, nel corso degli anni l’Inno del
Re è stato persino oggetto di disinformazione storica, quando ne fu
messa in discussione la paternità, confondendo Paisiello con Cimarosa.
Dell’Inno
da tempo non esistevano più incisioni di qualche valore; quasi
clandestinamente circolavano su Internet una versione organistica, una
per coro ed orchestra dell’Orchestra della Scala e una eseguita dalla
Banda dei Carabinieri. In epoca più recente, il musicista Eddy Napoli,
rispondendo generosamente alle sollecitazioni di molti, ne aveva
registrato una versione rimasterizzata con strumentazioni elettroniche,
che ha permesso a tanti appassionati di storia delle Due Sicilie di
conoscere l’inno borbonico.
L’Editoriale
Il Giglio, nell’intenzione di colmare il vuoto storico ed identitario
che si era creato, ha fortemente voluto che il suo primo cd musicale
fosse dedicato interamente all’Inno del Re.
Ritrovato
in un fondo di spartiti appartenuti alla famiglia del Principe Folco
Ruffo di Palazzolo (1801-1848), che fu ambasciatore delle Due Sicilie a
Torino ed in Svizzera, il breve testo veniva eseguito durante le
cerimonie di rappresentanza.
Il
14 febbraio 1861, sugli spalti di Gaeta, risuonarono per l’ultima volta
le note dell’Inno del Re di Paisiello, solenne ma mesto saluto al re
Francesco II e alla regina Maria Sofia che si imbarcavano sulla Mouette
verso l’esilio.
Da
quel momento, dopo la conquista armata e la nascita del nuovo Stato, la
Fanfara Reale dei Savoia, scritta da Giuseppe Gabetti nel 1831, fu
elevata al ruolo di inno nazionale, in linea con quell’opera di
piemontesizzazione operata in maniera tanto grossolana quanto
capillare. Essa rimase in vigore fino al 1943, anche se, a partire dal
1922, venne affiancata dall'inno del Partito Nazionale Fascista,
Giovinezza, nelle esecuzioni pubbliche.
Il
12 ottobre 1946, la marcia piemontese fu sostituita dal Canto degli
Italiani come inno della Repubblica Italiana. Musicato da Michele
Novaro su parole del mazziniano Goffredo Mameli, fu composto nel 1847
per celebrare il centenario della cacciata degli Austriaci da Genova.
L’inno, più conosciuto come Fratelli d’Italia, fu scelto tra diverse
proposte, alcune delle quali di maggiore valore musicale e poetico,
perché esso sintetizzava sia la continuità con lo spirito
risorgimentale sia l’ispirazione repubblicana. Curiosamente, nella
Costituzione Italiana, mentre si indica il tricolore come bandiera
nazionale, non si fa cenno all’inno di Mameli tra i simboli dello Stato.
Giovanni
Paisiello (Roccaforzata, Taranto, 1740 – Napoli, 1816) studiò a Napoli,
al Conservatorio di Sant’ Onofrio dal 1754 al 1763, sotto la guida di
Francesco Durante.
Fecondissimo
ma poco fortunato autore, si cimentò in ogni genere musicale, con
melodie ed arie di grande spessore musicale e emozionale, dalla musica
sacra al melodramma; ebbe un ruolo di particolare valenza nella nascita
e nell’evoluzione dell’opera buffa. A lui si debbono oltre novanta
opere, tra cui la prima versione di quel Barbiere di Siviglia, che
raggiungerà la fama in seguito nella versione di Gioacchino Rossini.
Nel
1772 Paisiello si dedicò alla musica sacra, componendo un requiem per
Gennara di Borbone. Fu Maestro di Cappella della zarina Caterina II di
Russia dal 1776 al 1784; rientrato a Napoli dopo un soggiorno a Vienna,
fu nominato Maestro di Cappella di Ferdinando IV di Borbone. Nel 1787
gli fu commissionato l’Inno delle Due Sicilie.
È ritenuto uno dei più importanti compositori del ‘700 e la sua opera ha influenzato Mozart.
Con
l’intento di favorire la riscoperta e la rivalutazione di quella
tradizione conservatoristica napoletana nota nel mondo, l’Editoriale Il
Giglio ha affidato l’esecuzione dell’Inno ad una compagine musicale
tutta del Sud, Nuove Armonie Ensemble, diretto dal Maestro Ida
Tramontano e composto da quartetto d’archi, organo, tromba, coro e
soprano.
Nell’esecuzione
presentata da Il Giglio, sulle morbide del quartetto d’archi,
formazione base della musica da camera, si innestano la voce solenne
dell’organo e la marziale malinconia della tromba. La limpidissima voce
del soprano ed infine il coro polifonico, restituiscono all’Inno del Re
il tono maestoso e suggestivo attraverso il quale Paisiello volle
esprime la grandezza di un popolo, il suo attaccamento ad una Dinastia
grande, antica e gloriosa.
Iddio conservi il Re
per lunga e lunga età
come nel cor ci sta
viva Fernando il Re
Iddio lo serbi al duplice
trono dei Padri suoi
Iddio lo serbi a noi
Viva Fernando il Re
FONTE:www.editorialeilgiglio.it
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