domenica 6 novembre 2011

Un ragazzo di Montalbano tra i morti del lager piemontese di Fenestrelle

Era di Montalbano Jonico uno dei ragazzi più giovani morti nel lager piemontese di Fenestrelle, ai confini con la Francia. Antonio Mosetti non aveva ancora compiuto 21 anni ed era stato lì deportato per essersi rifiutato di tradire il giuramento fatto al Re delle Due Sicilie Francesco II (Re Franceschiello) e di passare armi e bagagli con l’esercito piemontese. Quello di tanti giovani del sud è stato allora un raro di esempio di rifiuto del gattopardesco trasformismo, pagato con la sofferenza e la morte.

A Matera è stato giustamente inaugurato alla presenza delle massime autorità locali e provinciali nella villa comunale, un busto in bronzo dedicato a Giambattista Pentasuglia, l’unico lucano ad aver preso parte alla spedizione dei mille. Nessuno ha sentito la necessità di ricordare quei giovani che dall’altra parte della barricata attestarono con la vita la fedeltà a quella che era allora la loro patria. Tra i primi nomi emersi dai documenti della fortezza di Fenestrelle vi è stato anche quello di un altro lucano: Giuseppe Masareca di 22 anni. “Saremo una nazione unita e civile quando riusciremo ad essere inclusivi delle memorie diverse e riconosceremo dignità alle storie avverse”, ha scritto nei giorni scorsi lo scrittore-giornalista Marcello Veneziani.

Antonio Mosetti nacque a Montalbano Jonico nel 1843 e morì a Fenestrelle il 5 luglio del 1864. La fortezza nella quale esalò l’ultimo respiro era posta a duemila metri d’altezza, sulle montagne piemontesi. Gli internati furono circa ventimila. Erano militari borbonici che non volevano ultimare il servizio militare obbligatorio nell’esercito sabaudo, tutti quelli che avevano apertamente dichiarato la loro fedeltà a Francesco II e quelli che avevano  giurato resistenza ai piemontesi. Il più anziano tra essi non aveva che 32 anni. La naturale asperità dei luoghi ed il clima freddo rendevano quel luogo un vero e proprio campo di concentramento disumano.
Il 22 agosto del 1861 i detenuti tentarono una rivolta ottenendo solo l’inasprimento della pena ed i più furono costretti ad una palla al piede di circa 16 chili, a ceppi e catene. Erano senza pagliericci, senza coperte, senza luce. Vennero smontati gli infissi per farvi entrare aria e rieducare con il freddo i segregati. Denutriti con dei cenci come abbigliamento, di giorno si trascinavano nei punti più assolati per catturare qualche timido raggio di sole e riscaldarsi. E’ facile immaginare che nella loro  mente in quei momenti prendeva corpo la voglia del tepore degli assolati meriggi mediterranei. La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi venivano disciolti nella calce viva in una immensa vasca scavata nel retro della chiesa, all’ingresso della fortezza.

“Questi soldati - ha scritto Maurizio Di Giovine – finirono i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana. Erano poco più che ragazzi: il più giovane aveva 21 anni, il più vecchio 32. Se non fossero stati relegati a Fenestrelle, probabilmente sarebbero divenuti “briganti”, e forse anche per questo motivo, furono lì relegati a Fenestrelle, nella fortezza del liberale Piemonte, dove entrando su un muro è ancora visibile l’iscrizione “Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce”. Motto antesignano del più celebre e sinistro slogan che si poteva leggere nei lager nazisti: Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi).
Non deve destare meraviglia l’abbinamento perché la guerra del Risorgimento, come ha giustamente osservato Ulderico Nisticò, fu una guerra ideologica. E la guerra ideologica non può che concludersi con lo sterminio del nemico. Abbiamo rintracciato l’atto di nascita di Antonio Mosetti e la registrazione del suo battesimo. La madre aveva appena vent’anni quando lo diede alla luce, il padre ventisette. Erano ancora giovani quando non ebbero più notizie del loro figlio e con ogni probabilità non vennero a conoscenza dell’orrenda fine che era stata a lui riservata dai liberatori piemontesi: dopo un’immane sofferenza, a Fenestrelle non si riusciva a sopravvivere più di tre mesi, era morto senza una tomba, sciolto non in un forno crematorio, ma nella calce viva.
fonte:Vincenzo Maida - Centro Studi Jonico DRUS (ilmetapontino.it)

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