domenica 6 novembre 2011

LO STEMMA DELLA REAL CASA DELLE DUE SICILIE

NAPOLI-     Restaurato sul trono nel maggio 1815, re Ferdinando di Borbone, IV di Napoli e III di Sicilia, allo scopo di sottolineare la rinnovata unità dello Stato nella sua persona ed in ottemperanza a quanto era stato stabilito dal Congresso di Vienna, in data 8 dicembre 1816 emanò un decreto con il quale assunse il titolo di Ferdinando I, Re del Regno delle Due Sicilie: in tal modo egli riportò in auge la antica denominazione di rex Utriusque Siciliae, che risaliva all’età normanna e che era stata resa ufficiale da Alfonso il Magnanimo nel 1442. Una norma del 22 dicembre immediatamente successivo sancì l’unificazione politica della due corone di Napoli e di Palermo, distinte sin dal settembre del 1282, anche se spesso unite personalmente nella figura di un sovrano comune[1].

Con un ulteriore decreto, datato 21 dicembre 1816, re Ferdinando I definì il proprio stemma, la corona e le insegne cavalleresche di ornamentazione esterna dello scudo, i sigilli reali[2]: un disegno allegato al decreto stesso, sottoscritto dal re per approvazione e controfirmato da Tommaso di Somma, marchese di Circello, segretario di Stato ministro cancelliere, riproduce lo stemma del quale ci accingiamo a percorrere rapidamente l’iter storico-giuridico di formazione[3] (fig. 1).
Tra tutte le insegne araldiche degli Stati italiani preunitari, l’arma in argomento è senza dubbio la più complessa: essa consta, infatti, di ben ventisette quarti[4], e sopravanza, di conseguenza, anche tanti dei complicatissimi stemmi degli Stati tedeschi[5]; forse è seconda soltanto al grande stemma del regno di Prussia, che arrivava a contare ben cinquantasei quarti[6].
Inizialmente intesa a finalità eminentemente riconoscitiva e ancora libera dalle norme che, con il tempo, interverranno a regolarla, l’araldica nacque nell’ambito dei generici usi emblematici e si sviluppò con grande rapidità fino a dar vita ad un vero e proprio “sistema” di insegne atte a costituire, specialmente nelle armi delle casate di maggiore importanza, una declaratoria visiva degli eventi storici, dei diritti, delle situazioni giuridicamente rilevanti che hanno riguardato le casate stesse: i singoli quarti, nel senso che abbiamo dato poc’anzi a questo termine, entrano, si aggregano, cambiano di posto sulla superficie di uno scudo, o, addirittura, ne escono, parallelamente al modificarsi dello status giuridico del portatore dello scudo medesimo. È appunto in conseguenza di una serie di eventi storici e sulla base di precise motivazioni giuridiche che i ben ventisette quarti che lo compongono (alcuni dei quali, per la verità, ripetuti più volte) si sono venuti aggregando insieme, e si sono disposti, secondo un ordine che osserveremo, sulla superficie dello scudo araldico dei sovrani delle Due Sicilie.
Malgrado che il numero dei quarti presenti sia molto superiore, l’arma del reame delle Due Sicilie è in realtà formata dalla riunione, sul campo di un unico scudo, di sole cinque insegne, più o meno complesse, autonomamente preesistenti. Precisamente: dalle armi del regno di Spagna, assai simili a quelle usate da Carlo II, ultimo sovrano asburgico del reame iberico, che occupano la maggior parte del settore centrale dello scudo; dalle armi della linea angioina della casa di Borbone, cui il sovrano delle Due Sicilie apparteneva, collocate su di uno scudetto, posto al centro dello scudo grande, nella posizione detta tecnicamente “sul tutto”[7]; dalle armi del ducato di Parma e Piacenza, situate nel fianco destro[8] dello scudo; dalle armi del granducato di Toscana, collocate nel fianco sinistro; dalle armi del reame di Napoli, poste immediatamente al di sotto di quelle del reame spagnolo.

Fonte: Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie

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