sabato 19 novembre 2011

Le Chiese di Napoli parte 2°

San Gregorio Armeno
via S. Gregorio Armeno

La chiesa di San Gregorio Armeno è situata nella strada omonima, un tempo detta "Augustale" perché collegava la Curia Basilicae Augustinianae con il decumanus inferior e poi chiamata "Nostriana" dal Vescovo di Napoli Nostriano.
La costruzione ebbe inizio nel 1574, anno in cui, secondo il Canonico Celano, "resa comoda l'abitazione ed atta alla vita comune", la badessa Donna Giulia Caracciolo, nell'ambito delle riforme imposte dal Concilio di Trento, pensò all'erezione di una nuova chiesa e "la principiò col disegno, modello e guida di Vincenzo Della Monica e Giovan Battista Cavagna e quasi tutto fu fatto del denaro proprio di essa Donna Giulia".
Terminata la costruzione, la chiesa fu consacrata nel 1579 e l'anno successivo dedicata a S. Gregorio Armeno, come ricordano le iscrizioni nell'atrio; un'altra lapide ricorda, invece, la visita pastorale di Pio IX, 1° ottobre 1848.
La facciata presenta tre arcate a bugno di piperno, sormontate da quattro lesene toscane con fregio dorico e tre finestroni contenuti in rispettive arcate e conclusi originariamente con un timpano.
L'atrio, scuro e profondo, mostra quattro pilastri intermedi che hanno la funzione di reggere il piano del coro.
Successivamente, nel XVIII secolo, un secondo coro fu sovrapposto al primo e di conseguenza, nella facciata esterna, il timpano fu sostituito da un terzo ordine architettonico.
Si accede all'interno della chiesa mediante un portale di legno di noce con intagli a rilievo dei quattro evangelisti e dei Santi Stefano e Lorenzo; la chiesa è ad una sola navata, con cinque arcate per lato, alternate a pilastri compositi.
L'interno, ad eccezione delle cappelle, fu affrescato da Luca Giordano nel 1679, in occasione del primo centenario della costruzione della chiesa ed è da considerarsi, secondo Roberto Pane, "uno dei più impostanti complessi figurativi del maestro napoletano".
Sul muro d'ingresso è narrato, in tre scene, l'arrivo delle monache greche in Napoli: nel primo episodio le monache arrivano in barca (nella figura dell'uomo che mostra loro la direzione della nuova dimora, la tradizione indica l'autoritratto di Luca Giordano); nel secondo episodio, le monache, in tunica bianca e velo nero (secondo il costume descritto poi da Fulvia Caracciolo), sono raffigurate nell'atto di recare l'urna con le reliquie di San Gregorio; nel terzo episodio la badessa scende a terra ed è devotamente accolta dai napoletani.
Lateralmente alla porta d'ingresso si notano due quadri  di Silvestro Buono: il primo rappresenta i santi Girolamo e Francesco dinanzi alla Vergine; il secondo rappresenta l'Immacolata decorata da una simbologia  mariana sulla scia dell'Antico Testamento (Cantico dei Cantici) e delle sue allegorie.
In alto, tra i finestroni, si ammirano scene della vita di S. Gregorio affrescate dal  Giordano; a destra: il Santo è consacrato vescovo; Tiridate accompagna le spoglie del Santo; Tiridate con la testa di maiale per i delitti commessi; visione del Santo; il Santo esce dalle acque. A sinistra: morte del Santo; gruppo di angeli; il Santo è onorato dal re; cede l'episcopato al figlio Ofane; il Santo nel deserto; il Santo battezza; il Santo pontifica.
In continuazione con gli affreschi delle finestre, nello spazio dedicato al coro e non visibili dalla chiesa si notano cinque episodi della vita di San Benedetto; a cominciare dal lato del chiostro: San Benedetto che parte a cavallo; S. Benedetto a Montecassino; S. Placido, inviato da S. Benedetto, cammina sulle acque e salva S. Mauro; conversione di Totila; S. Benedetto ed i pastori.
Passiamo ora alle cappelle, alcune delle quali conservano ancora le colonne corinzie di marmo rosa appartenenti alla veste cinquecentesca.
Nella prima cappella a destra ammiriamo un'Annunciazione attribuita a Pacecco de Rosa; vi è conservata anche un'antica statua di S. Donato in legno colorato ed un'altra di S. Apollonia in una custodia di vetro.
Nella seconda cappella vi è una tela raffigurante la Vergine con i Santi Pantaleone ed Antonio che G. A. Galante attribuisce al Sarnelli.
La terza cappella è dedicata a San Gregorio Armeno: sull'altare vi è una tela opera di Fracanzano. Il Santo appare seduto, nell'atto di leggere in un grande libro. Nelle pareti laterali si notano altre due tele, una raffigurante il re Tiridate con il viso di maiale che supplica il Santo e l'altra il Santo gettato nel lago Artetax. Anche queste tele sono di Fracanzano, mentre la volta è decorata da affreschi di F. De Maria.
La quarta cappella conserva una tela di Niccolò Malinconico, rappresentante la Vergine del Rosario tra due santi; il nome del pittore è visibile in basso a sinistra.
Dal lato opposto, la cappella accanto all'organo è dedicata a San Benedetto; la tela che raffigura il Santo in preghiera, secondo Celano, "stimansi del Ribera", R. Pane conferma l'attribuzione dell'opera al maestro spagnolo, mettendone in risalto il verismo.
La cappella successiva è detta della "decollazione" per una tavola cinquecentesca attribuita a Salvatore Buono e raffigurante la decapitazione di San Giovanni Battista. Interessante la cappella seguente ove si venera una miracolosa  immagine del Cristo ora in restauro; trattasi di una scultura lignea del tardo quattrocento che pare appartenesse, secondo Celano, alla vecchia chiesa e che Pane definisce "immagine drammatica e splendida".
L'ultima cappella presenta una Natività attribuita a Bernardo Lama o Marco Senese.
Magnifico è l'altare maggiore, opera di Dionisio Lazzari, la balaustra dell'altare, così come quella di molte cappelle laterali rappresenta un mirabile esempio dell'artigianato partenopeo per i trafori in marmo bianco.
A destra si nota una grande raggiera di ottone che sormonta una grande tripartita, superba realizzazione dei maestri ottonari napoletani, su disegno di Giuseppe Pollio. E' il "comunichino della badessa" dietro il quale le monache ascoltavano la messa. L'apertura al centro, circondata da una delicata cornice in marmo e fiancheggiata da due candelabri serviva alle monache per ricevere l'Eucarestia.
Sul lato opposto si ammira una vasta composizione ad olio di Luca Giordano raffigurante Mosé tra la gente ed in alto l'Eterno sostenuto da angeli.
La tela sull'altare maggiore è opera di Bernardino Lama, mentre le sante benedettine fra i finestroni della cupola, Mosé, Giosué, Melchisedech e Ruth nelle lunette sono di Luca Giordano.
Gli affreschi della cupola, dello stesso autore, furono eseguiti, probabilmente due anni dopo quelli della chiesa di Santa Brigida; purtroppo la quasi totalità delle figure che ornavano l'interno della cupola è scomparsa e sono visibili, in basso, solo immagini di santi e angeli.
Una menzione particolare merita il soffitto ligneo che, secondo un documento conservato nell'Archivio di Stato, fu iniziato nel 1580 e completato nel 1582. Esso, intagliato e dorato, contiene in quattro successivi incavi ovali, pitture di Teodoro Fiammingo che raffigurano, a partire dal lato dell'ingresso, l'Assunta in gloria, S. Benedetto tra S. Placido e S. Mauro, S. Gregorio benedicente e Gesù al Calvario.
Volgiamo lo sguardo verso l'incavo che contorna in forma ovale il secondo dipinto: noteremo che esso è composto da una successione di archetti concavi, decorati con figurine, la metà di tali archetti è stata privata degli ornati.
Attraverso tali spazi corrispondenti al secondo coro, il cosiddetto coro d'inverno, le monache potevano vedere l'altare maggiore come attraverso una grata di legno.
Notevoli sono anche i due organi rifatti nel '700 e "riccamente adornati di intagli dorati".
Prima di passare oltre, segnaliamo che nello spazio corrispondente all'ultima arcata a destra è stata ricavata, in epoca recente, una cappella dove si conservano le spoglie di Santa Patrizia.
Passiamo all'ampia e bella sacrestia nella cui volta si può ammirare "l'adorazione del Sacramento" di De Matteis.
Celano definisce questa chiesa "stanza di paradiso in terra" e tale doveva apparire specialmente nei giorni festivi tra lo splendore degli arredi e degli argenti. Il degrado in cui oggi versa riempie di malinconia l'animo del visitatore, ma non riesce a cancellarne la maestosa bellezza.

San Lorenzo Maggiore
Piazza San Gaetano

San Lorenzo e la torre campanaria
Questa chiesa vanta un'imponente torre campanaria, detta anche torre di Masaniello perché coinvolta in quei moti seicenteschi, che fu con successo usata come un vero fortino ed armata di cannoni. La torre di origine quattrocentesca fu terminata nel 1507 e vi furono messe in opera le campane di mastro Graffeo siciliano.La possente struttura convenientemente armata subì un primo assalto ad opera del popolo infuriato contro il viceré don Pedro de Toledo nel 1547.Dopo circa un secolo Masaniello vi combatté ed ancora nel 1701 nella "congiura di Macchia" fu conquistata dal duca di Popoli, solo allora poté divenire finalmente il tranquillo campanile della chiesa.
Sulla parte superiore spiccano gli stemmi dei quartieri napoletani ed in una nicchia si nota una piccola statua di Boccaccio che qui ebbe il suo fatale incontro con Fiammetta.
La chiesa di S. Lorenzo Maggiore vanta un'origine paleocristiana essendo stata costruita dal vescovo Giovanni su rovine romane.Quando l'ordine francescano di recentissima fondazione nel 1234 chiese una chiesa napole-
tana ottenne dal vescovo di Aversa proprio quella chiesetta paleocristiana, che si ergeva nei pressi della piazza Augustale.
Il re Carlo d'Angiò, che come tutti gli angioini provava una speciale predilezione per l'ordine, volle partecipare alla nuova costruzione e la rigorosa impostazione gotico-francese della bellissima abside a cappelle radiali lascia intuire una grande mano; forse gli stessi architetti francesi che progettarono Castel Nuovo.I lavori vennero interrotti per la parentesi dei Vespri Siciliani del 1282, ma al suo ritorno Carlo fece riprendere di buona lena  i lavori di quella che prima di S. Chiara sarà sepolcreto e chiesa titolare degli angioini. La pianta della chiesetta paleocristiana del VI sec. è disegnata da un profilato di bronzo sul pavimento di quella trecentesca, facendone così leggere perfettamente l'estensione e la forma.L'attuale facciata è di anacronistico stile barocco, opera seicentesca di Dionisio Lazzari rielaborata nel 1763 dal Sanfelice. Di  originale conserva il bel portale ad arco acuto ed i ben conservati battenti lignei. L'interno è stato restaurato e riportato alla forma originale abolendo le sovrastrutture ed i rifacimenti barocchi che avevano deformato le finestre originali. Resta di stile barocco il bel cappellone di S. Antonio da Padova su disegno di Cosimo Fanzago. Opera rinascimentale di grande pregio è l'ancona che sovrasta l'altare maggiore, opera di Giovanni Merliani da Nola, con tre nicchie che accolgono le statue di S. Lorenzo, S. Francesco e S. Antonio. Il paliotto presenta tre bassorilievi marmorei in uno dei quali è rappresentato un panorama urbano della Napoli rinascimentale con il teatro romano dell'Anticaglia e la facciata ancora integra del tempio dei Dioscuri. A sinistra dell'ingresso si conserva un Cristo trecentesco, a destra il sepolcro dell'ammiraglio Aldemorisco, consigliere reale, di Antonio Baboccio da Piperno. E' l'unico monumento medievale con iscrizione gotica in francese di Napoli. La terza cappella conserva testimonianze barocche del Fanzago e della sua scuola di espertissimi marmorari. Nella stupenda abside francese le tombe angioine di Caterina d'Austria, moglie di Carlo I di Calabria, opera di Tino di Camaino. Ancora tombe angioine nel transetto a sinistra: quella di Carlo di Durazzo, di Roberto d'Arteis e di Giovanna di Durazzo del 1399.
Nella sesta cappella è possibile ammirare il sepolcro di Maria di Durazzo, figlia del duca Carlo.
La sacrestia è rinascimentale con affreschi, una natività e armadi cinquecenteschi.
Nel chiostro troviamo un bel portale gotico, tra due guardifore, della importantissima sala capitolare, l'antico refettorio adibito poi a sede del parlamento del regno di Napoli. In questa sala, nel 1443, Alfonso d'Aragona nominò suo erede e successore il figlio naturale Ferrante e lo nominò duca di Calabria e Carlo V d'Asburgo vi riunì i suoi baroni per ricevere quel milione di ducati che avrebbero dovuto assicurare la pace della città. Si ricorda che Francesco Petrarca dimorò per alcuni giorni nel convento e la notte del 4 novembre 1343, terrorizzato da un eremita che aveva predetto una spaventosa  tempesta, discese dalla sua cella per unire le sue preghiere a quelle dei monaci.

Boccaccio racconta che in questa chiesa incontrò Fiammetta.
La terza donna letteraria del trecento italiano, dopo Beatrice e Laura, era napoletana.I pettegoli ritengono fosse in realtà la principessa Maria d'Angiò.Dovette far buona compagnia al giovane Boccaccio, nelle gite sul golfo, nei piaceri di Baia e in quant'altro con cui, quella corte giovane e potente, alleggeriva il peso di un secolo duro, violento, pagano e mistico come nessun'altro lo fu.






Sant'Anna dei Lombardi
La Pietà - Guido Mazzoni 1492 (nell'oratorio del Santo Sepolcro)

La chiesa di S. Anna dei Lombardi è conosciuta anche come chiesa di Monteoliveto perché si trova proprio nel largo appunto di Monteoliveto. La bellissima chiesa, vera e propria antologia dell'arte rinascimentale napoletana, fu fatta costruire con l'annesso convento, dal grande protonotario di re Ladislao d'Angiò, Gurella Orilia nel 1414, ed affidata ai monaci olivetani. Ai primi del secolo scorso la chiesa passò alla confraternita di S. Anna dei Lombardi che aveva avuto la propria chiesa semidistrutta nel terremoto del 1805. Della facciata originale resta soltanto il basamento dopo il rifacimento ad opera di Gennaro Sacco nel Seicento, ed il restauro attuale dopo le devastazioni dei bombardamenti dell'ultima guerra mondiale. La facciata con il bell'arco "catalano", è un rifacimento, sebbene perfetto, dell'originale. Con il re Alfonso d'Aragona collaborarono alla costruzione della chiesa e del convento anche le famiglie d'Avalos e Piccolomini d'Amalfi ed il complesso si arricchì di ben quattro chiostri, dei quali resta traccia nella attuale caserma dei carabinieri, nella quale il Tasso scrisse parte della sua Gerusalemme Liberata. Nell'atrio della chiesa si trovano i monumenti funebri dell'architetto Domenico Fontana del 1627 a destra, ed a sinistra quello del comandante della truppe reali di Filippo V, Giuseppe Trivulsi. La bella porta lignea è stata ricostruita nel 1955 da Salvatore Vecchione identica all'originale. Nel rifacimento seicentesco dell'architetto Sacco si cambiò l'altare maggiore che era di Giovanni da Nola, fu trasformato in sacrestia il refettorio affrescato dal Vasari, e rifatto il soffitto a cassettoni su disegno di Mario Cartaro. Appena entrati a destra e sinistra due magnifici altari; a destra quello del 1532 di Giovanni Merliano da Nola con bassorilievi del Rossellino e di Benedetto da Majano appartenuto ai Ligorio del sedile di Porta Nuova; a sinistra quello della famiglia del Pezzo di Caianiello opera di Girolamo Santacroce. Tra i due altari il quattrocentesco organo (1497) trasformato nel 1697 da Cesare Caterinozzi da Subiaco e decorato nel 1700 dal napoletano Alessandro Fabbro. Sulla destra la cappella Mastrogiudice coi bei monumenti sepolcrali di Geronimo d'Auria e l'altare del fiorentino Benedetto da Majano. Di grossa importanza anche la cappella Nauclerio con l'altare attribuito a Giovanni da Nola, il monumento sepolcrale di Giovanni e Tommaso Nauclerio di Tommaso Malvito; la volta della cappella è affrescata dal Malinconico. Nella cappella Bosco un bel S. Cristoforo del Solimena. Di notevole importanza la cappella Orefice che contiene il sepolcro monumentale di Antonio Orefice protonotario di Carlo V e di Filippo I. La cappella è opera del 1596 di Geronimo d'Auria e Cristoforo Monterosso con il bel pavimento del 1597.
Tra i capolavori che si trovano nella chiesa di Monteoliveto è il grande gruppo di Guido Mazzoni, composto da sette figure a grandezza naturale in una drammatica Deposizione del 1492. Le belle figure, di terracotta policroma, sono state restaurate una prima volta nel 1882 e, recentemente, da Salvatore Gatto. In alcune di esse il Mazzoni ritrasse personaggi napoletani celebri come il re Alfonso II, Giovanni Pontano ed il Sannazaro con Lucrezia d'Alagro contemporanei dell'artista. Ancora una Deposizione marmorea del d'Auria ed il monumento funebre dei Maza. La cappella dell'Assunta, appartenuta alla potente famiglia dei Sangro e decorata dal Naccherino, contiene una bella Assunta del Sanfedele ed un frate Olivetano del Vasari che affrescò a grottesche anche le crociere del refettorio antico, poi sacrestia ed oggi sala di riunione della Confraternita dei Lombardi con i meravigliosi stalli in tarsia lignea di Giovanni da Verona del 1506, che riproducono alcuni monumenti rinascimentali di Napoli compresa la facciata originale della chiesa stessa. Ritornati nell'interno troviamo il notevole coro opera di Giovanni da Verona del 1591 su disegno del Cavagni. L'altare maggiore conserva del precedente di Giovanni da Nola il solo paliotto, mentre l'attuale è opera barocca su disegno di Domenico Vinaccia. Da menzionare ancora la cappella Tolosa voluta nel 1500 dal mercante spagnolo Paolo Tolosa ed opera di Giuliano da Majano con dipinti attribuiti al Pinturicchio. Gli Evangelisti nei quattro tondi dei pennacchi della volta sono opera della bottega Della Robbia. Bellissima, infine, la cappella Piccolomini dei duchi d'Amalfi, di squisita eleganza toscana del migliore rinascimento italiano. Di fronte all'arco di  ingresso è un Cristo del 1550 del Mazzoni a destra una Ascensione e i Ss. Nicola e Sebastiano del 1492; delizioso il pavimento a mosaico ed il Presepio (i primo esempio a Napoli di questa rappresentazione artistica) sull'altare, di Antonio Rossellino del 1475. Il bel monumento sepolcrale di Maria d'Aragona figlia naturale di Ferrante I e duchessa d'Amalfi che sposò il nipote di Pio II Piccolomini, Antonio, fu iniziato dal Rossellino e terminato da Benedetto da Majano nel 1479. Sulla destra, attribuita a Piero della Francesca una Annunciazione.
I I monaci olivetani erano famosi, anche fuori del regno di Napoli, per un ottimo sapone che fabbricavano nella loro spezialeria e vendevano a 24 carlini la libbra, cifra notevole per quella merce. Un viaggiatore illustre, il Burnet, ha lasciato un'entusiastica descrizione della bontà e delicatezza del prodotto.
Sant' Eligio Maggiore
Via Sant'Eligio

La chiesa di Sant'Eligio sorge non lontano da quella del Carmine nel popolare quartiere del Mercato, inglobata in costruzioni di scarsissimo valore architettonico all'interno di un'area urbana molto degradata e devastata durante l'ultima guerra che non ha risparmiato nemmeno il complesso monumentale colpito da un bombardamento il 4 marzo del 1943.
Soltanto da qualche anno la chiesa è stata riaperta al pubblico dopo un accurato restauro che le ha restituito il suo aspetto gotico come dimostra la bella abside che si affaccia, formando una quinta, sulla vicina piazza.
Fondata da Carlo I d'Angiò, con un annesso ospedale, nel 1270, la chiesa è la più antica fabbrica voluta dagli Angioini a Napoli (è ormai accertato che la costruzione di San Lorenzo Maggiore inizia, infatti, non prima del 1274).
Questo edificio sorse in quel luogo probabilmente anche come gesto di pacificazione politica ad appena due anni dalla morte di Corradino, con un dichiarato intento assistenziale, in una zona da sempre molto depressa ma di particolare importanza, data la vicinanza della porta urbana, per i traffici della città con l'entroterra.
L'attuale Educandato, che occupa l'area dell'antico ospedale, dichiara nelle sue strutture (compresi i due chiostri in piperno) una stratificazione e una trasformazione continua le cui ultime espressioni sono presenti nella settecentesca facciata di Ignazio di Nardo che chiude un lato della piazza del Mercato.
Alla chiesa, la quale dopo le complesse trasformazioni ha perso il suo ingresso principale, si accede, sul lato destro, da una porta laterale caratterizzata da uno splendido portale strombato che riflette pienamente il gusto gotico senza ancora le compromissioni con la cultura locale. Gli elementi chiaroscurali, con le profonde gole intagliate nella pietra, si arricchiscono di motivi naturalistici e di zoomorfiche figure in aggetto secondo una cultura francese di cui questo portale resta un raro esempio a Napoli  e che trova una sua spiegazione proprio nella datazione della chiesa.
L'interno, dopo il recente restauro che l'ha liberato dagli stucchi ottocenteschi di Orazio Angelini (1836 - 1843), presenta una muratura di tufo giallo con membrature di piperno grigio secondo un uso cromatico di tali materiali costruttivi proprio di quasi tutte le fabbriche gotiche napoletane.
Tre grandi arconi si aprono sui due lati della navata centrale mentre una partitura, presente nella muratura superiore, dimostra che in una prima fase costruttiva lo spazio di questa aula era segnato da un ritmo più serrato con un diverso rapporto fra l'ampiezza delle arcate e l'altezza di queste stesse secondo un disegno estraneo alla cultura figurativa meridionale.
Così come una diversa impostazione spaziale appare evidente nelle coperture con le quali sono risolti gli invasi della navata centrale e del transetto (capriate lignee) e delle navate laterali (volte costolonate).
La tipologia della pianta, tre navate con transetto ed abside poligonale con copertura ad ombrello, è arricchita da una quarta navata sinistra, di ampie arcate in piperno risolte a tutto sesto secondo un disegno ormai rinascimentale.
Questa stratificazione, in cui le strutture rinascimentali inquadrano quelle gotiche presentando spesso una soluzione di estrema raffinatezza (si noti la chiave dell'arco rinascimentale che diventa il capitello di appoggio dei pendenti archi ad ogiva) trova in questo ambiente un motivo di particolare suggestione nelle partiture murarie affrescate da pittori napoletani di tradizione giottesca.
Prima di uscire dalla chiesa si noti la cappella rinascimentale che occupa la parete dell'ex ingresso principale. Attribuita dal Filangieri al Malvito, questa cappella apparteneva alla corporazione dei Lanii (cioè dei Macellai).
Usciti dalla chiesa ammiriamo il quattrocentesco arco dell'orologio (restaurato nel secolo XIX) che lega con un cavalcavia la chiesa agli edifici vicini. La volta a crociera rivela nelle sue strutture una datazione durazzesca e oggi, nonostante i successivi rimaneggiamenti, essa costituisce ancora un inconfondibile elemento della scena urbana, così come la restaurata abside con i suoi contrafforti e le sue aperture rimanda ad altri monumenti cittadini (Sant'Agrippina a Forcella e Donnaregina innanzitutto) i quali caratterizzano la lunga stagione della cultura angioina a Napoli.
Nel vicino Educandato va segnalata una fontana seicentesca che orna uno dei due chiostri (costruiti entrambi con pilastri in piperno secondo un disegno controriformistico molto diffuso a Napoli) ed il Tondo di Andrea Carafa, opera di Balsimelli, murato in una parete della scala principale; pochi elementi ormai testimoniano momenti di maggiore prestigio per un complesso monumentale per il quale è auspicabile un completo restauro liberando, ad esempio, anche quel che resta della facciata della chiesa oggi visibile, solo in parte, dal terrazzo di una casa vicina che la copre con la sua costruzione di nessun valore architettonico.

Santa Caterina a Chiaia

Santa Caterina: internoLa chiesa di Santa Caterina  dedicata alla vergine e martire di Alessandria sorse nell'anno 1600 per opera dei Padri del Terz'Ordine Regolare di San Francesco sul luogo dove già esisteva una cappellina chiamata "S. Caterenella" grazie alle donazioni della principessa di Stigliano e della duchessa di Sabioneta della casa Gonzaga. Nel 1709 la chiesa venne prolungata con l'aggiunta delle ultime due cappelle laterali, di conseguenza venne prolungata la navata centrale della chiesa e spostata avanti la facciata. I lavori vennero portati a termine nel 1713 con le donazioni del nobile Fra Ascanio Bologna.
La chiesa è di gusto settecentesco, a croce latina con cappelle affondate, anche la facciata è settecentesca di un barocco riposante che prelude al neo classico. E' molto ricca di tele, affreschi e medaglioni rappresentanti, in gran parte, narrazioni di miracoli o episodi della vita del santo venerato nella cappella. Molto pregevole la tela dietro l'altare maggiore sopra gli scanni del coro: "Mistico sposalizio di S. Caterina col Bambino Gesù" Chiesa di Santa Caterina: Facciatadi Antonio Sarnelli che ha lasciato diverse altre tele e affreschi nella medesima chiesa, tra cui un altro capolavoro di grazia e semplicità "Madonna delle Grazie". Nella prima cappella di sinistra  troviamo una bellissima "Pietà" senza firma. Ancora ottimi dipinti di Nicola Spinosa e Belisario Corenzio.
Nella cappella della "Divina Pastora" sono conservate le spoglie della Venerabile Maria Adelaide Clotilde regina di Sardegna della Casa Savoia che morì a Napoli il 7 marzo 1802 dopo lunghe peregrinazioni in varie regioni d'Italia. Questa cappella è stata restaurata, dotata di cancello e di due lampade votive a cura del re Umberto II.
Il vasto edificio a forma di quadrilatero compreso fra la piazza S. Caterina, il 1° e 2° vicolo Alabardieri, piazza Rodinò e piazza dei Martiri era l'antico convento di S. Caterina a Chiaia e fa corpo unico con la chiesa, dopo la soppressione dello stesso e la confisca dei beni è diventato sede municipale della sezione "S. Ferdinando-Chiaia" conservando alcune stanze al piano terra e al primo piano come stanze per i frati.

Santa Chiara
Via Benedetto Croce

Opera gotico-provenzale di Gagliardo Primario.
Il possente basamento di epoca gotica della torre campanaria ci informa con un'iscrizione gotica che la chiesa fu eretta nel 1310 da Roberto e dalla regina Sancia, che fu ultimata  nel 1328, e che nel 1330 il papa Giovanni XXII concesse indulgenze a chi la visitasse, che la consacrazione della chiesa avvenne nel 1340 presenti gli arcivescovi di Brindisi, di Bari, di Trani, di Amalfi, di Conca, di Castellammare, di Vico, di Bojano, di Muro e di Melfi con l'elenco di tutti i principi presenti della casa reale degli angioini.
La chiesa visse tre "epoche stilistiche": la prima, "gotica", con il bellissimo monumento funebre di Roberto d'Angiò
vedi foto, opera dei fratelli Bertini dietro l'altare maggiore; le tombe reali di Tino di Camaino e della sua scuola e la grande "sala" affrescata da allievi di Giotto e Cavallini.
La seconda epoca, "barocca", per il rifacimento e il preteso "abbellimento" nel 1742 ad opera del Sanfelice, del Vaccaro e dagli aiuti Gaetano Buonocore, Giovanni del Gaudio, Giuseppe Scarola ed ancora Giuseppe Bonito, Francesco de Mura e Sebastiano Conca stravolsero tutto lo stile trecentesco chiudendo trifore e rivestendo tutto con marmi policromi e stucchi in un trionfo di teatrali linee avvolgenti che nulla aveva a spartire con la severa architettura trecentesca d'origine. La terza epoca, imposta dal bombardamento del 1943, che distrusse quasi completamente la chiesa fino a pochi metri da terra annullando non solo le sovrastrutture barocche, ma tutte le testimonianze originali sottostanti: le tele, le statue, le tombe, in un danno incalcolabile.
Tomba di Roberto d'Angiò
La ricostruzione ha riportato le linee costruttive all'originale idea francescana e le poche testimonianze che si sono salvate dall'immane rogo restano sempre di notevole interesse artistico. Nella seconda cappella a destra il sarcofago rinascimentale di Antonio Penna, nella terza cappella due sarcofagi dei Del Balzo, nella sesta cappella due bassorilievi trecenteschi con il "Martirio della moglie di Massenzio", nella settima cappella quanto è rimasto del sepolcro di Ludovico di Durazzo, opera trecentesca di Pacio Bertini.

Fa storia a sé la nona cappella che ha conservato la struttura barocca ed è attualmente  il sepolcreto ufficiale dei Borboni. Settecentesco è il bel sepolcro di Filippo primogenito di Carlo di Borbone con lapide latina del Tanucci; di fronte la tomba della venerabile Maria Cristina di Savoia regina di Napoli. Nel presbiterio sempre a destra il monumento funebre di Maria di Valois seconda moglie del duca di Calabria, opera di Tino di Camaino e della sua scuola del 1338. Dietro l'altare maggiore campeggia il grande sepolcro di Roberto, che ha perduto la parte cuspidata nel bombardamento del'43. La severa figura seduta del re sovrasta la scritta "cernite Robertum regem virtute refertum" dettata dal Petrarca che molto ammirò il saggio e colto angioino. Nel monumento si riconoscono
ancora nelle statue i ritratti di Maria di Durazzo, Ludovico d'Angiò, Maria di Carlo di Calabria, Giovanna I, Sancia di Maiorca,  Violante d'Aragona, Carlo di Calabria, Maria di Valois, Ludovico e Martino (figlio di Carlo). Nella nona cappella di sinistra vi è il sepolcro cinquecentesco di Marco e Paride Longobardi e l'interessante formella sull'altare. Nell'ottava cappella un sarcofago greco-campano del IV sec. a.C. decorato a bassorilievo ed usato nel 1632 come lastra tombale di G.B. Sanfelice.
Nella sesta cappella trecenteschi sepolcri dei Del Balzo ed un S. Francesco di Giovan Domenico d'Auria. Poi vi è la cappella con il sepolcro di Raimondo Cabanis, gran siniscalco di Roberto d'Angiò e del figlio Perrotto; i sepolcri di Drugo e Nicola Mermoto sono attribuiti alla bottega di Tino di Camaino.
Chiostro
Chiostro di S.Chiara
Il grandioso "chiostro maiolicato" (82 m. x 79 m.) conta ben 72 pilastri ottagonali, sul lato del quale si aprono il grande refettorio (52 m.) ed una bella sala Maria Cristina, recentemente restaurata.
Il chiostro di origine gotica, fu trasformato nel 1742 da Domenico Antonio Vaccaro che si avvalse dell'opera di  Donato e Giuseppe Massa della celebre famiglia dei "riggiolari" napoletani per rivestire le strutture del chiostro con stupende mattonelle policrome su disegni dello stesso Vaccaro.
Il campanile
La sua costruzione, iniziata nel 1328, fu interrotta per la morte di Roberto nel 1343. Della primitiva torre resta il possente basamento  che bel resistette al terremoto del 1456; la possente costruzione fu completata nel Cinquecento  e arricchita da 5 campane cadute per il bombardamento del 1943 e rimesse al loro posto nel 1949.

Santa Maria Donnaregina
vico Donnaregina 

Chiesa di Donnaregina: InternoLa sua antichissima origine risale all' VIII secolo, quando col nome di S. Pietro o S. Pietro al Monte era officiata dai monaci basiliani (il monastero ospitò anche una figlia del duca bizantino di Napoli, Giovanni e la figlia dell'imperatore d'Oriente, Atanasio). Ospitò nel secolo successivo alcune monache benedettine sostituite nel 1348 da suore francescane che lo dedicarono alla Vergine Maria. Il nome Donna Regina fu ritenuto per lungo tempo un omaggio alla regina Maria d'Ungheria, moglie di Carlo II d'Anjou che volle la ricostruzione della chiesa tra il 1307 e il 1320, dopo i danni procurati dal terremoto del 1293, alcuni storici ritengono invece che il nome sia dovuto alla proprietaria del suolo. Più affascinante la leggenda napoletana, trascritta dalla Serao, delle tre sorelle Toraldo (Donna Regina, Donna Albina e Donna Romita) che la scrittrice data nel medioevo angioino mentre la denominazione della zona di Donna Regina risale molto più addietro nell'alto medioevo. Attualmente la chiesa consta di due parti: una più antica, trecentesca e una più moderna, rinascimentale-barocca. La chiesa trecentesca, tra le più pregiate costruzioni medievali napoletane, sorse sulle rovine della precedente per munificenza, come abbiamo già detto, di Maria d'Ungheria e contiene il bellissimo sepolcro della regina di Tino di Camaino e Gagliardo Primario del 1325.
La tomba monumentale che ripete il tipo a padiglione, peculiare del tempo, mostra la regina inginocchiata davanti alla Vergine. Il sarcofago ha undici piccole nicchie, quattro sui lati e sette sul davanti, definite da colonnine che reggono archi acuti contenenti piccole statue raffiguranti alcuni dei tredici figli di Carlo II, marito della regina. Vi si riconoscono quella di Roberto, di Filippo di Taranto, di Raimondo Berengario, di Carlo Martello e Giovanni di Durazzo con al centro Lodovico, il santo vescovo di Tolosa. Il sepolcro, nella sua cristallizzata eleganza, esprime un'armonia severa e possente, caratteristica delle opere del Camaino, che si impongono per la perfetta fusione degli elementi architettonici con quelli scultorei. La chiesa è divisa in tre navate da colonne ottagonali che sostengono anche il vasto coro. Il soffitto cinquecentesco a cassettoni è attribuito al Belverte, e gli stalli del coro, di finissimo intaglio, provengono da S. Lorenzo Maggiore. Molto importante la cappella Loffredo con affreschi di scuola giottesca del 1315. Di grande interesse gli affreschi del coro di Cavallini e di Lello da Orvieto che restano i brani più interessanti della pittura romanico-gotica di Napoli, risalenti alla metà del Trecento; spettacolare anche il gigantesco Giudizio Universale. Dai bei portali cinquecenteschi si accede agli appartamenti della badessa affrescati dal Solimena con un S. Francesco in gloria ed una Incoronazione di Mattia Preti. La seconda chiesa di S. Maria a Donnaregina, che si rese necessaria quando la antica venne inglobata nel convento, è opera del 1620 di Giovanni Guarino e si affaccia sulla piazza sul "largo" omonimo. Terminata nel 1649, fu inaugurata dal cardinale Innigo Caracciolo e delle due è quella aperta al culto (
la medievale viene usata come sala da concerti e museo). Si accede alla chiesa barocca da una maestosa scalinata che porta all'unica navata rivestita di preziosi marmi policromi. Nella volta sono dipinti del Solimena giovane e sull'altare maggiore un bel polittico cinquecentesco. Ancora vi si possono ammirare dipinti del de Matteis, una Madonna delle Grazie, e di Luca Giordano (nella navata a sinistra)con una Vergine e S. Simone e La peste del 1656. Nel lato destro uno Sposalizio della Vergine ed una Presentazione al Tempio di scuola giordanesca; nella sacrestia un bel Crocifisso ligneo del Quattrocento.

S. Maria La Nova
Largo Santa Maria La Nova 

Santa Maria la Nova: ChiostroIn questa via fu abbattuta, per far posto al Castel Nuovo, un'antica chiesa francescana che la tradizione voleva edificata dallo stesso Santo  e dedicata all'Assunta dal titolo S. Maria ad Palatium. I sovrani angioini, molto legati all'ordine francescano, ne costruirono subito una nuova nel 1279 detta appunto S. Maria La Nova. La chiesa per le testimonianze rinascimentali che conserva č tra le piů importanti di Napoli. Rifatta in parte nel Cinquecento da Agnolo Franco, subě successivamente ampliamenti e restauri che non danneggiarono del tutto l'impostazione originale trecentesca. Tra le molte opere d'arte che conserva citiamo: il soffitto dorato del 1598 con dipinti del Curia, dell'Imparato, del Santafede, del Corenzio, del Rodriguez e del Malinconico; vera e propria antologia del tardo rinascimentale a Napoli. L' altare maggiore č di Cosimo Fanzago, davanti sul pavimento si trova la lapide sepolcrale di Giovanna la moglie di Ferrante (Ferdinando I) d'Aragona. Nell'abside i dipinti quattrocenteschi furono restaurati dal Corenzio, molto bello il coro ligneo del 1603. Un crocifisso ligneo della cappella a destra dell'altare maggiore č opera superba di Giovanni Merliani da Nola. Nel transetto destro notiamo una tavola con un San Michele di Marco Pino da Siena ed ancora un Ecce Homo di legno policromo di Giovanni da Nola, nella cappella seguente una Nativitŕ in bassorilievo di Girolamo Santacroce, nella terza e quarta cappella ancora Marco Pino e Giovanni da Nola con una Crocifissione e una mirabile ancona lignea. Parte del porticatoSegue la magnifica cappella di S. Giacomo della Marca restaurata nel Cinquecento e nel Seicento. Di Annibale Caccavello segnaliamo due bei sepolcri del 1550, quelli di Odetto di Foix e di Pedro Navarro, mentre gli affreschi della volta sono dello Stanzione. Ancora statue di Girolamo d'Auria ed affreschi di Silvestro Buono nella prima cappella. Nella terza esplode il genio decorativo barocco e dei connessi marmorei del Fanzago e subito dopo affreschi del Giordano. Molto belli i due chiostri con tombe quattrocentesche del primo. il secondo chiostro incluso nel grande edificio monastico, ha fatto parte per molto tempo del provveditorato agli studi. Il complesso di Santa Maria La Nova ospita ancora alcuni uffici dell'amministrazione provinciale e regionale. Nella sacrestia infine vediamo un bell'affresco del Bramantino: La salita al Calvario.

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